Non mi stancherò mai di ripeterlo. Fare SEO è una cosa seria e non è per tutti. Curare un progetto SEO nel 2019 è complesso e richiede davvero molto tempo. Se decidi di intraprendere questo percorso devi, quindi, essere consapevole di ciò che ti attende: un lavoro lungo, in cui nessuno potrà garantirti risultati sicuri perché la realtà è questa, che piaccia o meno. Ciò che conta è avere in mente una strategia precisa e degli obiettivi oggettivamente raggiungibili. Solo così potrai misurare i risultati che raggiungerai ed esserne fiero o insoddisfatto.
Il mondo SEO, però, è anche pieno di furbetti. Nell’articolo sulla storia dell’algoritmo di Google ho spiegato che, agli inizi, ottenere un buon posizionamento non era molto complicato. Bastava saper lavorare un po’ col codice e fare del keyword stuffing per raggiungere ottimi risultati. Col tempo, queste tecniche sono state scoperte con una frequenza sempre maggiore, a tal punto da penalizzare fortemente i siti web che le utilizzavano. Eppure, ancora oggi c’è chi pensa di poter ingannare i motori di ricerca attraverso la Black Hat Seo.
Indice
- Cos’è la Black Hat SEO
- Tipici esempi di Negative SEO
- Keyword stuffing
- Cloaking
- Contenuti di bassa qualità
- Redirect ingiustificati
- Link a pagamento
- Contenuti ingannevoli nei dati strutturati
- Spam nei commenti sul blog
- Link Farm
- I rischi
- La Black Hat SEO è sempre sconsigliata?
- Un pericolo anche per i motori di ricerca
- Come difendersi dagli attacchi di Black Hat SEO
- Conclusioni
Cos’è la Black Hat SEO
La Black Hat SEO è l’insieme di tecniche che permettono di migliorare il posizionamento di un sito web, attraverso il ricorso a pratiche scorrette e sconsigliate dai motori di ricerca. In primo luogo, dunque, chi fa Black Hat SEO tende a violare le regole e le linee guida stabilite dai browser.
In genere, tecniche di questo tipo non prendono in considerazione la user experience e l’importanza di offrire esperienza e contenuti di qualità. L’obiettivo è solo orientato al miglioramento del posizionamento in SERP. Per raggiungere un risultato di questo tipo è necessario tentare di ingannare, oltre che gli utenti, anche gli spider che analizzano le pagine dei siti web.
Tipici esempi di Negative SEO
Ecco le tecniche maggiormente utilizzate nell’ambito della negative SEO.
Keyword stuffing
La keyword stuffing si riferisce alla pratica di riempire i contenuti di parole chiave irrilevanti, allo scopo di manipolare il posizionamento del sito nelle pagine dei risultati di ricerca. Non mi stancherò mai di ripetere che bisogna scrivere contenuti che siano di valore per gli utenti. Riempire un testo di parole chiave o di varianti delle stesse è assolutamente controproducente.
Ecco un tipico esempio di keyword stuffing: “Presso la mia pizzeria a Napoli puoi trovare la migliore pizza margherita di Napoli. Se hai bisogno di una pizzeria a Napoli prenota subito un tavolo. La mia pizzeria a Napoli è aperta tutti i giorni dalle 19:00 alle 23:00. Ti aspetto nella mia pizzeria a Napoli, in Via Tal dei tali n. 45“.
Come hai potuto notare dal testo sopra citato, la keyword pizzeria a Napoli è ripetuta ben quattro volte in altrettante frasi. Google si accorge facilmente di questi trucchetti e tende a penalizzare tutte quelle pagine che abusano inutilmente di parole chiave.
Cloaking
Si parla di cloaking quando il contenuto mostrato agli utenti è differente rispetto a ciò che vedono i motori di ricerca. I siti web di spamming utilizzano questa tecnica per impedire al bot del motore di ricerca di individuare il contenuto spam fornito agli utenti. In generale, anche il cloaking persegue lo scopo di raggiungere un buon posizionamento SEO attraverso contenuti del tutto impertinenti.
A proposito del cloaking, è doveroso un chiarimento. Non sempre mostrare contenuti differenti agli utenti è sbagliato. Per esempio, potresti fare in modo che l’utente che accede da mobile visualizzi un contenuto diverso rispetto all’utente Desktop. Altro caso è quello dei siti multilingua, all’interno dei quali per gli utenti potrebbe essere più comodo spulciare i contenuti nella lingua da essi parlata.
In linea generale, conviene sempre trattare i motori di ricerca non come se fossero macchine bensì persone. Se un contenuto è utile per l’utente che visita il tuo sito web, presumibilmente lo sarà anche per i bot di Google o di un altro motore di ricerca.
Contenuti di bassa qualità
Si può fare keyword black hat SEO anche tramite contenuti di scarsa qualità. Pensa agli articoli duplicati. La storia dell’algoritmo di Google ci insegna che, in passato, per i bot non era molto semplice individuare la perfetta (o quasi) coincidenza tra contenuti ospitati su pagine web differenti. Tale problematica è stata risolta con l’aggiornamento Google Panda del 2011.
Sulla falsa riga dei contenuti qualitativamente pessimi, troviamo anche un’altra pericolosa pratica. Consiste nello scrivere le parole chiave dello stesso colore dello sfondo della pagina. Nei risultati di ricerca, la pagina potrebbe posizionarsi per quelle parole chiave che risultano invisibili all’utente. In ogni caso, la user experience sarà pessima perché l’utente, una volta che farà click sul risultato che visualizzerà sul motore di ricerca, verrà reindirizzato su un sito web in cui non troverà l’informazione o il contenuto a cui è interessato.
Scrivere contenuti originali e di qualità è una componente fondamentale della SEO. Oltre ad aiutarti ad evitare una penalità da parte dei motori di ricerca, servirà anche a distinguere il tuo sito web. La creazione di contenuti di alta qualità crea fiducia nel pubblico e può contribuire a trasformare i visitatori in clienti.
Redirect ingiustificati
Un reindirizzamento porta un utente a rimbalzare su un URL diverso da quello su cui ha fatto clic inizialmente. Sulla falsa riga del cloaking, si potrebbe fare black hat SEO reindirizzando il crawler del motore di ricerca a una pagina e tutti gli altri utenti a una pagina differente.
Un altro esempio è il reindirizzamento di una pagina altamente autorevole con molti backlink ad un’altra pagina irrilevante, allo scopo di migliorare la posizione di quest’ultima nei risultati di ricerca. Ciò può accadere in quanto, per definizione, un redirect 301 trasferisce la maggior parte dell’autorità da una pagina all’altra. Di conseguenza, chi fa negative SEO potrebbe utilizzare i reindirizzamenti esclusivamente per manipolare i risultati di ricerca.
Link a pagamento
I motori di ricerca come Google vietano rigorosamente l’acquisto e la vendita di link. In Google Search Console, oltre ad ottenere una panoramica sui siti che ti linkano, esiste anche uno strumento per la rimozione dei link. Utilizzalo nel caso in cui temi che il tuo sito possa essere stato linkato da altri siti web per scopi di Spam o per compromettere negativamente il tuo posizionamento sui motori di ricerca.
Una delle recenti novità introdotte a Google consiste nella possibilità di etichettare i link acquistati attraverso il tag rel = sponsored. In questo modo, il motore di ricerca verrà a conoscenza del fatto che quel link sia stato acquistato e, dunque, non penalizzerà il sito che lo ha ricevuto. In caso contrario, puoi rischiare una penalizzazione.
Contenuti ingannevoli nei dati strutturati
I dati strutturati permettono di modificare le modalità di visualizzazione dei tuoi contenuti nelle pagine dei risultati dei motori di ricerca. I rich snippets possono dare risalto al tuo sito in SERP. Ad esempio, è possibile aggiungere dati strutturati a una pagina che mostra un podcast, una ricetta, un libro e altri prodotti e servizi.
Uno dei dati strutturati maggiormente utilizzato è, senza dubbio, quello delle recensioni. Non c’è nulla di sbagliato nell’adoperare in maniera lecita tali dati. La pratica diventa scorretta e anche pericolosa lato SEO quando un sito fa in modo che compaiano le cinque stelle, sebbene la valutazione provenga da un falso sito di recensioni. In questo modo, chi visualizza in SERP il sito web con una valutazione a cinque stelle potrebbe essere indotto a cliccare.
Google, tra l’altro, ha disciplinato l’aggiunta di dati strutturati ai siti web e dispone anche di uno strumento utile per testarli. Ti consiglio di dare un’occhiata al documento di Google circa la corretta aggiunta dei dati strutturati all’interno dei siti web. Inoltre, esiste anche uno strumento utile per testare tale tipologia di dati.
Spam nei commenti sul blog
Questa tecnica consiste nell’includere un collegamento al tuo sito Web nei commenti del blog. Questa pratica accade meno spesso al giorno d’oggi poiché i motori di ricerca come Google hanno aggiornato il loro algoritmo per scartare eventuali link nei commenti del blog. La maggior parte dei blog autorevoli ora rende i collegamenti nei commenti del blog nofollow per impostazione predefinita. Ciò significa che i motori di ricerca come Google non seguono il collegamento né il collegamento trasferisce autorità.
Se gestisci un forum o una community con i commenti aperti, assicurati che tale sezione non possa essere spammata da bot o persone. I motori di ricerca come Google degraderanno o rimuoveranno completamente le pagine contenenti spam dai risultati di ricerca. L’utilizzo di strumenti anti-spam come lo strumento gratuito reCAPTCHA di Google è un modo per mitigare il rischio di spam nei contenuti generati dagli utenti.
Inoltre, da qualche mese Google ha introdotto il tag rel = ugc. Attraverso questo tag è possibile gestire in maniera efficace e sicura i link generati dagli utenti attraverso i commenti.
Link Farm
Per link farm s’intende un mix di siti web sviluppati esclusivamente allo scopo di creare link. Ogni sito web si collega al sito o ai siti che desiderano classificare più in alto nei motori di ricerca. Essendo i backlink un importante fattore di ranking, questa tecnica punta ad incrementare il numero di link in entrata di un determinato sito web.
Queste catene di siti web presentano, spesso, contenuti di scarsa qualità oltre ad un numero spropositato di link, con anchor test quasi sempre comprendente le parole chiave per le quali si desidera ottenere il posizionamento. Google ha migliorato, nel tempo, la capacità di individuare i siti web che utilizzano tattiche di link farm. Meglio, sempre e comunque, dedicare tempo ed energie verso la preparazione di contenuti di qualità, in grado di attirare buoni backlink anche da siti autorevoli.
I rischi
Quali sono i rischi per chi adotta queste tecniche? Beh, il rischio principale è che il sito web venga bannato da Google o, in generale, da tutti i motori di ricerca. Magari, se l’inganno va in porto, per un po’ di tempo il sito web riuscirà anche a posizionarsi bene e a raggiungere il risultato sperato. A lungo andare, però, è pressoché impossibile riuscire a conservare lo status quo.
La Black Hat SEO è sempre sconsigliata?
Io la sconsiglio sempre. Ok, non voglio nemmeno condannare chi ragiona affermando che il fine giustifica i mezzi. Ci sta e posso comprenderlo anche se non lo approvo. Il problema è che se hai un progetto ambizioso e lungimirante la Black Hat SEO non può e non deve fare al tuo caso. C’è chi sostiene che queste tecniche siano appropriate solo per progetti di breve durata. Sarà un mio limite ma se lavori seriamente alla SEO dovresti già sapere di non poter ragionare a breve termine.
Un pericolo anche per i motori di ricerca
La Black Hat SEO rappresenta un pericolo per gli stessi motori di ricerca. La nostra tendenza è quella di fidarci quasi ciecamente dei risultati con cui Google risponde alle nostre ricerche. Se scoprissimo che quei risultati son stati manipolati e non son veritieri ne rimarremmo delusi. Google, o gli altri motori di ricerca, rischierebbero di perdere milioni di utenti e di clienti. Insomma, il calo della reputazione e della credibilità sarebbe enorme.
Come difendersi dagli attacchi di Black Hat SEO
A volte, può capitare anche il caso contrario. Il tuo sito potrebbe essere vittima di un attacco hacker o SPAM finalizzato proprio a danneggiare il tuo progetto, così da farlo penalizzare dai browser di ricerca e scomparire in SERP. C’è un modo per difenderti da tutto questo? Sì, attivando la Search Console di Google riceverai delle notifiche che ti avviseranno dell’aumento di pagine con errore 404. Ciò perché Google rileva delle URL che in realtà sul server non sono presenti ma che, attraverso un redirect, confluiscono su risorse esterne.
Inoltre, la vecchia versione di Search Console, sempre disponibile, permette di utilizzare il comando “Visualizza come Google“. Infatti, un sito web potrebbe apparire normale agli occhi di un utente ma infetto a quelli di Google. Attraverso questa funzione puoi scoprire in che modo Google scansiona le pagine del tuo sito web.
Infine, sempre nella versione precedente di Search Console puoi accedere alla sezione “Problemi di sicurezza” in cui potrebbe esserci la segnalazione relativa ai problemi del tuo sito web.
Dopo aver rimosso le anomalie riscontrate, non ti resta che segnalarlo a Google, chiedendo di indicizzare nuovamente il tuo sito web. Qualora anche la Sitemap acquisita da Google sia sbagliata, ti conviene inviare quella corretta. Potrai svolgere anche questa operazione direttamente in Google Search Console.
Conclusioni
Il mondo della SEO è ricco di insidie. Abbiamo visto come anche chi si comporta bene e fa il massimo per apparire corretto agli occhi di Google possa incappare in attacchi che rischiano di compromettere un progetto che, magari, va avanti da anni. Ecco perché consiglio di tenere sempre gli occhi ben aperti e di monitorare continuamente il proprio sito web. Si sa, prevenire è meglio che curare!
Ti è mai capitato di utilizzare tecniche di Black Hat SEO o di essere vittima di un attacco di questo tipo? Discutiamone nei commenti.
Sono un Copywriter Freelance e Consulente SEO. Aiuto le aziende a raggiungere i loro target attraverso testi di qualità, sia sui canali digitali che tradizionali, ma soprattutto sui motori di ricerca.
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